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A cura del dott. Andrea Barabino, Dottore Commercialista in Torino

L‘internazionalizzazione è un passaggio spesso fondamentale per le aziende che si devono confrontare con la competizione sia locale, sia globale, in un mondo sempre più rapidamente mutevole.

Per un’azienda, l’internazionalizzazione è un passo importante, che richiede un processo di trasformazione degli assetti organizzativi manageriali e finanziari per il quale servono uno studio ed una preparazione approfonditi, perché l’improvvisazione può essere letale.

Con “internazionalizzazione” si intendono i processi attraverso i quali le imprese investono in Paesi esteri, per aumentare la penetrazione commerciale, per presidiare da vicino i nuovi mercati, o per combinare con più efficienza i fattori produttivi.

I vantaggi quali sono?

  • La diversificazione del rischio: la presenza di un’azienda su più mercati ripartisce il rischio e ripara l’impresa da eventuali contrazioni del mercato interno;
  • L’accrescimento del know-how aziendale;
  • Il rafforzamento della struttura produttiva e finanziaria.

Vediamo qui di seguito quali sono i passi da seguire per internazionalizzare un’impresa con successo.

Step 1 - La prima fase indispensabile è un’analisi, o un’autoanalisi preliminare delle peculiarità dell’azienda, e del suo potenziale, per verificare la sua idoneità a un processo di internazionalizzazione.

Step 2 - Viene poi la scelta del mercato o dei mercati o, comunque, dell’area geografica. L’analisi approfondita per la scelta del luogo nel quale effettuare l’investimento è il secondo step che deve effettuare un’impresa che si avvia lungo il cammino dell’internazionalizzazione. Occorre valutare le principali variabili macroeconomiche, e quelle variabili che potrebbero incidere sull’esito dell’investimento che si appresta a realizzare. Mi riferisco, fra l’altro, alla presenza di un ambiente favorevole agli investimenti esteri. Infatti, bassi livelli di imposizione fiscale, una ridotta burocrazia locale, il riconoscimento delle principali convenzioni internazionali in materia di diritto e di fiscalità internazionale, nonché l’avvio di processi di liberalizzazione sia fiscale che giuridica, sono fattori positivi che incidono sulla scelta dei mercati nei quali si intende investire. Oggi occorre anche verificare la presenza di sanzioni internazionali e di dazi.

Step 3 - La definizione degli obiettivi. L’analisi dei mercati nei quali si vuole investire, non può prescindere dagli obiettivi che l’impresa intende perseguire con il processo di internazionalizzazione. Tali obiettivi sono strettamente connessi alle finalità che l’impresa si prefigge e, come tali, sono influenzati dal settore e dalla struttura dell’azienda. L’assenza di una precisa strategia incide negativamente sul risultato finale.

Internazionalizzazione è un termine molto generico, che può assumere significati diversi.

L’impresa italiana può aprirsi ad un altro Paese attraverso distributori, o con un ufficio di rappresentanza, oppure scegliere di avere una rete commerciale propria, oppure ancora con un insediamento produttivo. Questo dipende dal tipo di attività, dalle dimensioni, e dalle possibilità finanziarie dell’impresa.

Uno dei motivi per andare all’estero è la ricerca di minori costi delle materie prime e della manodopera con conseguente abbattimento dei costi di produzione. Inoltre, potrebbero esserci anche ragioni logistiche e di vicinanza con mercati interessanti. Occorre anche considerare che avere un impianto di produzione in loco può evitare di incorrere in eventuali dazi o tariffe gravanti sulle importazioni in quel Paese.

Alcune delle questioni da affrontare preliminarmente allo sbarco nel Paese straniero, insieme al commercialista di fiducia, sono:

  • L’autoanalisi preliminare delle potenzialità dell’azienda;
  • La scelta del tipo di soggetto giuridico;
  • Obblighi fiscali specifici e relativa compliance;
  • Scelta della struttura di governance e della reportistica;
  • Aspetti contrattuali specifici;
  • La scelta dei consulenti sul posto.

Vi è poi tutta una serie di problematiche che riguardano le persone fisiche coinvolte nell’apertura di un’attività imprenditoriale all’estero, che possono essere connesse al cambio di residenza fiscale, ad obblighi di monitoraggio fiscale, alla tassazione dei redditi, agli aspetti previdenziali ed a quelli civilistici (diritto di famiglia).
Un aspetto molto delicato nei paesi extraeuropei è l’ottenimento del visto d’ingresso a scopo di lavoro. Per noi che siamo abituati all’Europa senza frontiere, può essere una sorpresa verificare quanto è difficile poter risiedere in un paese estero per lavorare, e ed è dunque necessario informarsi per tempo sulle pratiche necessarie, anche avvalendosi di professionisti locali.

Attenzione: non tutte le aziende sono pronte ad internazionalizzarsi, o per carenza di esperienza e competenza, o per la mancanza di sufficienti risorse finanziarie ed umane, o, soprattutto, per la mancanza di strategia e progettazione.
Ed allora, gli errori da evitare sono diversi. Ad esempio:

  • L’impresa crede di risolvere i propri problemi nazionali andando all’estero. Non è così, si va all’estero se si è forti nel proprio Paese.
  • Non fare un’accurata ricerca preliminare nel paese target, che costa ma è fondamentale. Per andare all’estero occorre disporre delle risorse necessarie.
  • La mancanza di assistenza professionale nel paese target.
  • La mancanza del business plan, e, come detto, di disponibilità economica e finanziaria.
  • E, da ultimo, non pensare al “disaster recovery”, ossia al piano B, alla via d’uscita qualora le cose non andassero come previsto, e l’esperienza si rivelasse fallimentare.

Individuato il Paese target si potrà affidare al commercialista il ruolo di collegamento con i professionisti locali, dai quali sarà indispensabile avere assistenza contabile, consulenza legale e fiscale, e una banca di riferimento. Questi interlocutori esteri si aspetteranno di trattare con l’avvocato dell’impresa, e con il contabile o consulente fiscale e non solo con il commercialista, perché normalmente non sanno che la sua è l’unica professione contemporaneamente economica e giuridica, in grado non solo di fornire consulenza contabile e tributaria, ma anche contrattuale, societaria e di “governance”, e spesso anche del lavoro.

È poi indispensabile usare il commercialista come ponte fra le normative del paese target e quelle italiane. Non dimentichiamo che i nostri verificatori fiscali e previdenziali quando vedono rapporti con l’estero sentono subito puzza di bruciato. Occorre quindi far sì che l’avventura imprenditoriale si svolga nella piena “compliance” delle normative italiane. Prezzi di trasferimento, norme sulle “controlled foreign companies”, monitoraggio valutario, aspetti previdenziali per il personale inviato all’estero sono alcune delle problematiche da considerare.

 


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