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A cura del Matteo Caretti, Ordine dei Commercialisti di Torino

Le restrizioni ai movimenti imposte dagli Stati in risposta all’emergenza sanitaria e il successivo affermarsi dello smart working come nuova modalità lavorativa hanno portato con sé implicazioni di natura fiscale sia per i lavoratori che per le imprese.
Per chi proviene dall’estero, la permanenza prolungata in Italia può far sì che vengano soddisfatte le condizioni per essere considerati residenti italiani ai fini fiscali e, di conseguenza, essere assoggettati a tassazione in Italia per i redditi ovunque prodotti nel mondo nel corso dell’intero anno considerato.

In questo contesto l’Italia ha recepito solo parzialmente le indicazioni fornite dall’OCSE1 per l’interpretazione dei Trattati contro le doppie imposizioni alla luce delle restrizioni ai movimenti adottate nel periodo pandemico.
In tema di residenza fiscale l’Agenzia delle Entrate2 ha preso una posizione netta, precisando che le relative valutazioni devono prescindere “dalla circostanza che una eventuale permanenza della persona fisica nel nostro Paese sia dettata da motivi legati alla pandemia”.

Per quanto riguarda la tassazione dei lavoratori dipendenti non-residenti che prestano la propria attività in modalità remota dall’Italia, l’Italia ha previsto una deroga ai criteri di tassazione ordinariamente previsti dai Trattati contro le doppie imposizioni solamente negli accordi ad hoc stipulati con Francia, Svizzera e Austria. Tuttavia, occorre ricordare che l’accordo con l’Austria non riguarda la generalità dei dipendenti, ma solamente l’ipotesi particolare dei lavoratori frontalieri, così come definiti nel Trattato contro le doppie imposizioni Italia-Austria.
Pertanto, al di fuori dai tre casi sopra menzionati, nel caso vi sia un Trattato tra l’Italia e l’altro Stato coinvolto, sarà applicabile la disciplina ordinariamente prevista dal Trattato, in base alla quale i lavoratori dipendenti in smart working in Italia sono esenti da imposta italiana se:

  • soggiornano in Italia per meno di 183 giorni l’anno; e
  • la loro remunerazione non è pagata da, o per conto di, un datore di lavoro residente in Italia, né è sostenuta da una sua stabile organizzazione italiana.

Infine, occorre ricordare che la prestazione di lavoro dipendente in modalità remota in Italia per conto di un datore di lavoro estero potrebbe far sorgere per quest’ultimo il rischio di stabile organizzazione italiana.
In particolare, l’abitazione dalla quale il lavoratore svolge la propria attività (c.d. home office) potrebbe configurare una stabile organizzazione materiale per il datore di lavoro estero se venisse accertato che:

  • l’attività è svolta dall’home office in maniera abituale; e
  • l’attività svolta dal dipendente non può dirsi di carattere preparatorio o ausiliare; e
  • l’home office è da considerarsi a disposizione del datore di lavoro estero.

Inoltre, qualora il lavoratore concluda contratti in Italia in nome dell'impresa estera, tale attività potrebbe configurare l’ipotesi della stabile organizzazione di tipo personale (c.d. agent PE). In questo caso la valutazione del rischio di stabile organizzazione personale deve considerare, oltre all’abitualità dell’attività e alla natura dei contratti stipulati, da chi e in quale Paese sono svolte le fasi di negoziazione che hanno portato al raggiungimento dell’accordo.

1 Updated guidance on tax treaties and the impact of the COVID-19 pandemic, 21 gennaio 2021
2 Risposta a interpello 7 luglio 2021, n. 458


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